(Scritto intorno al 2001)
Ebbene sì. Lo ammetto. Mi sono comprato una chitarra (o ‘na chitara, come vorrebbe la rima del verso). Anche se non la so suonare quasi per niente. La chitarra in questione è proprio bella. Una chitarra acustica Yamaha FG403S, c’è scritto dentro.
E’ stato buffo andarla a comprare. Sono entrato in un negozio di strumenti musicali abbastanza vicino a casa, dopo averlo cercato sulle pagine gialle. Entro e dico: buongiorno, vorrei una chitarra. Il tipo fa: che tipo di chitarra? Acustica, elettrica, classica…? indicando una marea di chitarre appese sul soffitto come fossero prosciutti. Acustica dico io con fermezza.
Fermezza che subito si scioglie nel momento in cui il tipo entra nel merito di che tipo di chitarra acustica preferisco. In verità non sono completamente digiuno di chitarre. Abbastanza, ma non completamente. Quando ero piccolino, infatti, da bravo bambino che, dicevano, aveva orecchio, si è pensato di farmi imparare a suonare uno strumento. E, di comune accordo familiare, devo dire (comune nel senso che ero d’accordo anch’io) mi comprarono una chitarra (classica) da pochi soldi e mi iscrissero al Conservatorio.
Si sappia che io non brillo per tenacia e determinazione, ordine e disciplina, soprattutto quando la cosa non mi diverte, mi costa fatica e i risultati arrivano solo con il tempo e l’applicazione. Diciamo che sono uno tendenzialmente da tutto e subito. Insomma, andai per circa un anno. Non facevo mai gli esercizi, mi rompevo le palle a solfeggio e il professore era un tipo davvero poco incline alla simpatia. Per farla breve, dopo un po’ rinfoderai la chitarra nel suo fodero e mi diedi alla macchia.
La chitarra rimase nel fodero per lunghi anni. Finché, durante gli anni delle superiori, la ritirai fuori, forse stimolato dalla visione dei miei compagni di classe che la sapevano suonare e nelle gite e scampagnate cuccavano sempre molto più di tutti gli altri. E cominciai a imparare qualche accordo. La prima canzone che fui in grado di suonare fu In fila per tre, del buon Bennato. La seconda Bocca di rosa. Tutte canzoni con accordi semplici e senza barré, noteranno coloro che di chitarra se ne intendono.
Poi smisi ancora una volta. Andai all’Università. E la casa era talmente piccola e umida che la chitarra non era proprio il caso.
Poi mi è ritornata la voglia. E così, qualche sabato fa, ero appunto nel negozio di strumenti musicali, con la faccia all’insù sotto quel mare di chitarre/prosciutto sopra la mia testa e dicendo: guardi, io so suonare tre accordi. Vorrei una chitarra con cui impararne altri due o tre.
Il tipo mi mostra una prima chitarra che non costa moltissimo. E poi, da bravo commerciante, mi dice: questa è una buona chitarra. Ha un buon rapporto qualità prezzo. Certo, se spende un po’ di più, mica molto, passiamo ad uno strumento molto migliore. Voi cosa avreste fatto? Passiamo ad uno strumento migliore, perbacco. Macerto, faccio io ormai preda del brillante titolare. Insomma, sono uscito con chitarra, custodia imbottita e muta di corde di ricambio (hai visto mai che mi si rompono durante un concerto). Mi sono dimenticato il plettro, però.
E’ da qualche settimana che strimpello. Ed ho tutti i polpastrelli della mano sinistra su cui cominciano a formarsi i calli delle corde. Sono molto orgoglioso dei miei calli. Ma continuo ad avere seri problemi con i barré e con la mano destra, che, diciamolo francamente, più che fare blen blen blen non è capace. Ma io la incoraggio sempre.
Ora vado, che c’ho il giro di Do da ripassare: DO LAm REm SOL7… C’era una volta una gatta…