Ho sempre amato i gatti. Molto più dei cani. Anzi, diciamo che, per dirla proprio tutta con sincerità, con i cani ho sempre avuto un rapporto molto conflittuale. La loro festosa ed a volte aggressiva invadenza mi è sempre sembrata simile a quella di quelle persone, spesso amici o parenti, che ti toccano, di fanno i buffetti sulle guance, di danno le pacche sulle spalle, ti spettinano i capelli. Insomma quelle persone un po’ sopra le righe che non sanno tenere le mani a posto.
I gatti no. I gatti sono autonomi, indipendenti, padroni di se stessi. E straordinariamente morbidini.
Ricordo che da piccolo avevo un libro di racconti di Kipling, Storie proprio così, si intitolava. Era un librone con i disegni ed i caratteri grandi per i bambini. Tra tutte le storie, tutte belle, ce n’era una che volevo leggere sempre perché mi piaceva tantissimo. Era quella del gatto: Il gatto che se ne andava da solo, era il titolo. Se la volete leggere lo trovate qui. Vale la pena.
Beh, dicevo, da allora, ho sempre amato i gatti, anche se non ne ho mai avuto uno. O meglio a dire il vero si, uno c’è stato, piccolo, quando ero a Venezia, all’Università. Ma io e il mio compagno di casa e amico Valerio non eravamo mai a casa e ‘sta povera creaturina scagazzava ovunque. Un disastro. Lo demmo via poco dopo.
Quindi possiamo dire che non ho mai avuto un gatto stabile. Fino al settembre dell’anno scorso, quando è arrivato Camillo (che a dire il vero si chiamava Silvestro, ma avendo la faccia da Camillo ha cambiato nome appena varcata la soglia di casa).
Eccolo qui, in braccio, morbido e caldino. Ormai fa parte della casa, è un gatto ordinato, educato, rispettoso. Certo, mordicchia, certo, ci sveglia alle cinque del mattino, certo, ogni tanto graffia un po’ le poltrone, certo, sale sulla scrivania e ti impedisce di usare la tastiera del computer, certo. Ma lo amo. E l’amore, come si sa, passa sopra a tutto.
PS – Ah, un’ultima cosa. I gatti non puzzano per niente, non odorano, stupefacente.