In occasione del concorso Roma Noir di cui ho già parlato qui, scrissi anche un altro racconto, che poi non inviai per la partecipazione.
In effetti, a rileggerlo, non era nemmeno male. Eccolo.
Il giorno del giudizio
Si lava le mani. Con l’acqua tiepida, come sempre. Non è facile pulirle bene. Poi ricorda di aver letto, da qualche parte, che l’acqua calda fa coagulare il sangue. Ma ormai, insiste. Con la spazzolina per le unghie. Meticolosa. Si concentra. Rimangono piccole tracce scure annidate nel solco tra le unghie e la pelle. Si asciuga. Non è stato difficile, in fondo, pensa. Si cambia. Si infila la sua veste di panno rosso, quella che indossa sempre in casa. Si siede, accoccolata, sul divano. Accende la televisione.
La salma è preparata sul tavolo anatomico priva di indumenti. Pesa kg. 72. L’altezza non può misurarsi che con approssimazione in m. 1,66, data la cospicua deformazione traumatica. Il volto è sfigurato da complesse lesioni d’arma da taglio e contusioni che rendono pressoché irriconoscibili i tratti fisionomici.
Era entrata dal retro. Silenziosa. La saracinesca sulla strada, proprio sotto casa, era già abbassata. – Signora Maria buonasera. È un po’ tardi, sto chiudendo, ma mi dica, mi dica, in cosa posso servirla? – Aveva impugnato l’asta di legno con il gancio metallico in cima, appena usata per chiudere bottega. L’aveva fatto sorridendo. Il primo colpo era stato forte, forse un po’ impreciso, ma caldo, vibrante, erotico. Un suono sordo, accompagnato da un grido, subito spento in un grugnito, sfumato in un rantolo. I due o tre colpi successivi erano stati più precisi, se lo ricordava. Scientifici, per così dire.
Non si effettuano rilievi antropometrici del capo perché deforme da comminuta frattura dello scheletro cranio-facciale. Capo deforme per lo sfacelo scheletrico completo, con profonda depressione dell’intera regione parieto-occipitale di sinistra e schiacciamento della regione orbitale dello stesso lato, ove il globo oculare appare afflosciato e lacerato con fuoriuscita dell’umore vitreo.
La lama del coltello. Un’altra cosa. Silenziosa, pulita. Era un piccolo coltello, purtroppo, di quelli che si usano per pulire le verdure. Ma era ben affilato, lo ricordava bene. Un lavoro geometrico, aveva fatto, quella sera. Come quando si sbucciano le arance, che si incidono le due calotte e si segnano i meridiani verticalmente, sulla scorza. Quelle arance rosse, succose, che aprendole ti fanno colare sulle dita un nettare che pare sangue. I carciofi no, erano diversi. Asciutti, ostici, ostili. Glielo diceva sempre. E quel suo modo, così odioso, invece: – altro poi, signora Maria? – detto ancor prima di finire di pesare. – Glieli metto tre carciofi, signora Maria? – cinguettava saltellando. – No grazie, lo sa, i carciofi non mi piacciono – diceva. Ma lui niente. Misero e protervo: – guardi, signora Maria, guardi, sono bellissimi. Altro poi, signora Maria? – Goccia dopo goccia, di giorno in giorno. Per trenta lunghi anni.
Il cellulare adiposo dell’orbita risulta vastamente scoperto da un’ampia lacerazione. In regione frontale mediana ed in sede parieto-frontale sinistra, due vaste soluzioni di continuo lineari del cuoio capelluto, a margini laceri dell’ampiezza di circa 6 cm. ciascuna, discoprenti la teca cranica.
È ora di andare a letto. La televisione è un quadrato mondo di noia, come al solito. La spegne. Un abbraccio silenzioso le cura i sensi. A piccoli passi percorre il corridoio. Spegne le luci alle sue spalle, mano a mano che cammina. Accende la piccola luce sul comodino, un’occhiata alla sveglia, che le piace tenere vicino per vedere l’ora, la notte, o al risveglio. Si sta spogliando. Suonano alla porta. Ci mette un po’. Arrivo, arrivo, pensa, quanta fretta. Un bel giovane, alto, con i capelli scuri, e due altri in divisa, poco più discosti. Chiude lo spioncino, toglie il catenaccio, apre la porta. Sorride gentile. – Solo un momento di pazienza – dice – mi vado a vestire, accomodatevi, intanto. –
Torna in camera da letto. Apre la finestra. Si affaccia. L’aria della notte è tiepida. La sente distintamente, sul viso, lasciandosi cadere.