Parole Incrociate

Una fremula increspazione languorica nel sorriso di fronte. Ciglia lunghe imbrattazzate di rimmel. La sguardo con piglio ferroviario, tarantatante, alternato al corrente paesaggio finestrino. Limpido seno morbidobavarese nemmeno ben nascosto. Rituffo nel mio notiziario a pagina diciotto. Tarantatan. Sorride ancora, lei, a me, pari pari. Incrocio di parole. Diciotto in verticale: “Il nome del paese alla tua destra che se guardi fuori lo vedi, quello con il campanile, fai presto, che sennò passa e non torna più”. Tatan. Passato. Diciannove in verticale: “Hai visto? Le occasioni passano come un lampo. Devi essere sempre pronto a coglierle”. Già. – Le piacciono i fiori? – azzanno bruciopelo. Alza gli occhi illibata. – Molto, sì – gorgheggia. – Trentacinque in orizzontale – in pressing – “I fiori di Queneau”, tre lettere, tre secondi di tempo – placcata. – Due, uno… – implacabile. – Bù – sibila infantile. – Le si è incastrata la elle tra gli incisivi, mi spiace, la vedo da qui. Se la tolga, mi faccia il piacere – severo. Arrossa, vergognosa, copre, scava, lavora – elle – mostra sull’unghia. – Bene – appoggio lì. Protengo la mano ai budini pettorali. Ella sa e non dice. Soffre, ma s’offre. – Magia del corretto apostrofare, vero? – sornione sbottono il bottone. Tatantatan. Ma è il cuore, che sferraglia. Due in orizzontale. Avviticchiati. Paralleli e binari, fischi e sbuffi, pressione e stantuffi. Alta velocità. Tatan. Woum. Buia calda galleria. Wuaf. Fuori. Ancora, dai. Non toccare il freno. Ogni abuso verrà punito. Stiamo arrivando in stazione, vieni? Sì, aspettami, vengo, sì.

– Biglietto Signori, prego – intrusivo e maledetto.

– Abbonamento – porgo assonnato. Di fronte, nessuno.