Questo breve dialogo fu scritto durante gli anni novanta, mentre vivevo a Milano e lavoravo (tanto) per pochi soldi. Ero un po’ frustrato, come si evince dal testo. Ma mi piace ricordarlo e riproporlo, avendolo ritrovato in questi giorni, scritto a mano, su dei fogli di un bloc notes, probabilmete durante un viaggio in treno. Ho mantenuto il testo originale, salvo qualche piccola correzione e l’aggiornamento di alcuni riferimenti, soprattutto valutari (all’epoca c’era ancora la lira), ma anche in relazione a qualche nome (Cracco al posto di Marchesi, ad esempio). Altre cose le ho lasciate così. Si coglie bene, ad esempio, un riferimento a Berlusconi, che in quegli anni impazzava nel suo massimo, per così dire, splendore.
A. Voglio comprare.
B. Cosa vuoi comprare?
A. Non lo so. Qualcosa.
B. Come “qualcosa”? Se hai voglia di comprare ci sarà pure una cosa che desideri comprare…
A. No. E’ una voglio di comprare fine e se stessa. Comprare qualunque cosa: caramelle, biscotti, vestiti, occhiali, scarpe, orologi, del detersivo, che ne so, un gatto, qualunque cosa, te l’ho detto.
B. Beh, tra un gatto e del detersivo ci sarà pure una differenza…
A. Sì, certo, ma non è questo il punto. Io ho voglia di comprare qualcosa indipendentemente dal mio bisogno di detersivo o di gatti. Ho voglia di esercitare il mio diritto di essere consumatore, visto che su un altro versante sono costretto ad essere produttore.
B. Il tuo “dritto di essere consumatore”? Consumare è una necessità, non un diritto: uno consuma quando ne ha bisogno, quando necessita di qualcosa: lo compra ed è fatta.
A. Balle. Ho forse bisogno di 48 tipi di dentifricio? Di 29 qualità di detersivo? Per non parlare dei 1265 modelli di orologio. Non mi venire a parlare di bisogni.
B. Sì, vabbè, lo ammetto, c’è molta, forse troppa, varietà nella scelta, ma in fin dei conti è solo una questione di scelta, appunto, di poter scegliere ciò che sodisfa meglio le tue necessità. O i tuoi gusti.
A. No, caro mio. Qui siamo di fronte ad un gioco più sottile. Produci e consumi. Anzi, produci per consumare. Le “necessità”, come le chiami tu, si fermerebbero molto prima. E’ una questione di equilibrio: ognuno consuma in proporzione a quanto produce. Io produco tot e ho diritto a consumare tot. Questa è la verità. Anzi, ti dirò di più, consumare è un diritto / dovere, come il voto.
B. Ma dai, non venirmi a raccontare storie. Se tu non vuoi comprare niente sei libero di farlo, se non hai bisogno di nulla, non compri niente e tutti si risolve lì.
A. Uhm. Vero fino ad un certo punto. E’ vero. Sono libero di non comprare nulla e nessuno mi obbligherà mai a farlo. E’ anche vero, però che se non consumo non ha più senso che mi arrabatti a produrre ed a farmi pagare. Potrei addirittura dirti che io guadagno 74 pacchetti di pop-corn, 12 accendini Bic, 25 panini al prosciutto, 1 cappotto di media fattura, un orologio Swatch e 13 dischi al mese,. Se non ci fossero le noiose spese mensili tipo l’affitto e le bollette. Oppure potrei pensare che ogni mese mi viene dato un biglietto aereo per due persone per gli Stati Uniti andata e ritorno, o 500 pacchetti di Marlboro, scegli tu. Ma ci pensi? Un mese di lavoro per 10.000 sigarette, roba da non credere. E’ questa la mia sola vera libertà, il mio unico diritto: decidere se ogni giorno del mio lavoro vale 300 sigarette, 5 bottiglie di Whisky o mezza cena da Carlo Cracco, se alla fine del mese mi sono riempito la casa di palline da ping-pong o ho collezionato scarpe da tennis.
B. Allora mi vuoi dire che tu lavori solo per consumare e spendere…
A. Sbagliato. Non lavoro per consumare. Guadagno per consumare. E’ diverso. Il lavoro ha una sua dimensione, le sue soddisfazioni, le sue frustrazioni, le gioie e i dolori, come si dice. Poi c’è l’aspetto economico: più guadagni, più spendi, è quasi un’equazione. Un aumento di stipendio e zac, la mezza cena da Cracco diventa una cena intera. Un altro aumento e zac, altre 100 sigarette in più al giorno. Capisci cosa voglio dire? Il lavoro è un’altra cosa: io lavoro perché mi piace il mio lavoro e perché altrimenti non posso pagare l’affitto, il mutuo, le bollette. Ma tutto il resto è dedicato al consumo.
B. Beh, invece di spenderli potresti sempre risparmiare, fare degli investimenti…
A. A parte il fatto che allo stato attuale c’è poco da investire, ma anche ce ne fosse, a che pro? Per fare altri soldi, ecco a che pro. E a cosa serve fare altri soldi? O li spendi, o li reinvesti. Se è vera la prima, ho ragione io. Se è vera la seconda, siamo di nuovo al “a che pro”. E via di questo passo.
B. Ma allora, secondo la tua teoria, la gente si danna per fare soldi solo per poterli spendere?
A. Fino ad un certo punto è così. Ti dò atto che oltre ad un certo livello di reddito il ragionamento non ha più senso. Uno che guadagna 1 milione di euro l’anno non conduce, presumibilmente, una esistenza così diversa, da un altro che ne guadagna 2. Mentre tra 1000 euro e 2000 la differenza si sente. In questo caso si entra nel cuore del meccanismo, nel centro del sistema. Fare soldi serve a fare soldi. Con 2 milioni di euro, investendo e rischiando un po’, se ne possono fare 5, con 5, 20, con 20, 100 e così via. A quel livello, chi ha voglia di comprare qualcosa, compra una squadra di calcio, una casa editrice, una testata giornalistica.
B. Vedi, allora non c’è differenza: tu compri 20 scarpe da tennis, un altro compra il Milan, qual’è la differenza, oltre al costo?
A. La differenza è sostanziale. Le mie scarpe da tennis si consumano, si logorano, e, prima o poi, verranno buttate. La squadra di calcio produce altri soldi, così, chi l’ha comprata, può poi, se gli va, comprare l’azienda che gestisce i tram, può acquisire il controllo di tutta la produzione nazionale di automobili. Piccole cose del genere.
B. Ma tutto questo investire serve: crea posti di lavoro, benessere…
A. Dipende tutto da me: se io smettessi di comprare la mia quota di sigarette, scarpe da tennis, orologi, se smettessi di andare allo stadio, di comprare i giornali, di guardare la PayTv, sai dove finiscono i tuoi posti di lavoro, il tuo benessere? Per questo ho detto che consumare è un diritto / dovere. Se io smettessi di consumare, tutto crollerebbe. Siamo costretti a comprare, caro mio, altro che.