#andràtuttodiverso

Una riflessione sul futuro

La pandemia ha sconvolto la vita di tutti noi. Su molti versanti. Quello pratico e delle abitudini quotidiane, innanzitutto, ma ha avuto un grosso impatto anche sulla nostra vita emotiva, soprattutto per chi è stato toccato in prima persona dalla malattia o dalla perdita di persone care.

Ma ha anche sconvolto e rimescolato (o forse solo fatto emergere con più evidenza) solchi e divisioni sociali, culturali e finanche generazionali nello spirito collettivo, ponendo con forza il tema della aderenza e coesione sociale di fronte alle regole necessarie al controllo di una situazione di grave emergenza.

E’ possibile che, prima o poi, si ritorni ad una sorta di normalità, quella cui siamo abituati da quando siamo nati, quella normalità che abbiamo vissuto, bene o male, prima dello scoppio della pandemia.

Tuttavia il passaggio di questa emergenza lascerà traccia di sé anche a lungo termine, con trasformazioni e cambiamenti profondi nelle modalità organizzative e sociali del nostro vivere collettivo e sulle nostre relazioni economiche.

La prima e più rilevante tra queste trasformazioni riguarda il mondo del lavoro. Molte persone si sono trovate, probabilmente per la prima volta nella loro vita, a lavorare in casa anziché doversi recare tutte le mattine in ufficio.

Molti altri hanno dovuto, invece, continuare a lavorare fuori casa anche durante il lockdown, nonostante i rischi di contagio.

Già solo queste due condizioni portano con sé importanti modificazioni sociali ed economiche, probabilmente non tutte ancora visibili, ma strutturali e difficilmente invertibili.

Lavorare a casa

Lo smart working, necessario durante la fase di lock down ed applicato a tutti coloro la cui attività ne consentiva lo svolgimento (impiegati, lavoratori del terziario, consulenti, insegnanti, formatori, ecc.) ha dimostrato alle aziende che è possibile continuare a fare business, a svolgere le attività aziendali, a fornire servizi, senza necessariamente essere presenti tutti i giorni sul luogo di lavoro. Il mondo è andato avanti lo stesso.

Servono meno spazi, ma molte sono le conseguenze

Lentamente qualcuno sta rientrando al lavoro, alcuni uffici stanno riaprendo, consentendo ai propri dipendenti di svolgere il loro lavoro presso le sedi aziendali. Si comincia timidamente, un po’ alla volta, a turni, magari qualche giorno sì, qualche giorno no: uno smart working parziale, insomma. 

E’ facile immaginare che abbastanza rapidamente le aziende si rendano conto di quanto loro sedi fisiche siano enormemente sovradimensionate. Gli enormi palazzi ad uffici dove lavoravano migliaia di persone, così costosi in termini di affitto e manutenzione, forse non sono più così necessari. E’ quindi ben difficile pensare che, anche ad emergenza finita, si possa tornare indietro. Si potrebbe assistere ad uno svuotamento importante delle aree direzionali delle città, un tempo piene di attività, di persone, di movimento, di indotto (basti pensare banalmente a tutte le attività commerciali e di ristorazione di supporto agli uffici durante la pausa pranzo).

Tale dinamica potrebbe portare ad una rilevante modificazione dei valori immobiliari di aree un tempo pregiate e costose, oggi e nel futuro sempre meno ricercate e preziose. Una trasformazione che potrebbe riguardare non solo il settore degli uffici, ma, a catena, come in un contagio, anche quello del mercato residenziale.

Perché mai, infatti, continuare a sacrificare ampia parte del proprio reddito per vivere il più vicino possibile al luogo di lavoro quando è possibile lavorare da casa e recarsi in ufficio solo un paio di volte alla settimana?

Se questo è verosimile, lo è altrettanto l’impatto che tutto ciò può avere da un lato sul sistema dei trasporti e degli investimenti pubblici in infrastrutture, dall’altro sulla qualità della domanda residenziale, che, verosimilmente, potrebbe orientarsi su modelli insediativi meno centrali, addirittura esterni ai principali centri urbani, ma con più spazio interno: vani in più dove poter svolgere il proprio lavoro senza condividerlo con le attività domestiche o con gli altri membri della famiglia.

Sommando tra loro queste possibili tendenze, sembra di poter intravvedere l’avvio di una importante crisi del processo di urbanizzazione, forse la prima vera crisi profonda e radicale del modello urbano occidentale dalla sua affermazione. New York, da sempre città simbolo dell’occidente industrializzato e direzionale, ne è in questo momento, l’esempio più importante.

Sembra possibile che debbano essere rivisti i modelli di sopravvivenza economica della nostra società così come l’abbiamo vista, letta ed interpretata fino ad oggi. Dinamiche di distribuzione e redistribuzione del reddito, modelli di investimento delle risorse pubbliche. Si pensi, appunto, come già richiamato, alle politiche dei trasporti, verosimilmente tutte da rivedere, perché basati su modelli di mobilità probabilmente ormai in via di superamento e dinamicamente in corso di trasformazione in direzioni che ancora si fatica ad immaginare con chiarezza. O alle politiche di realizzazione dei servizi alla collettività (scuole, verde, parcheggi, servizi collettivi), che dovranno rapidamente rivedere le proprie priorità in relazione ai nuovi pesi di distribuzione della popolazione e delle attività. O, ancora, al tema delle periferie, oggi spesso degradate e povere di servizi essenziali. Un modello sbagliato reso possibile solo dal fatto che la popolazione che vi abita, vi torna solo a dormire. Ma se cominciasse a viverci davvero, invece? 

Non irrilevante, poi, potrebbe essere una forte cesura sociale tra chi può lavorare a casa e chi, invece, per le caratteristiche del proprio lavoro, non lo può fare (commessi del commercio, addetti dei trasporti e della logistica, addetti della produzione, personale sanitario, ecc.). Potrebbero, i primi, essere visti e considerati come privilegiati dai secondi? A che tipo di conseguenze potrebbe portare una dinamica di questo genere in una società, la nostra, già così frammentata e conflittuale?

Che altro?

Ma non è finita.

Vi sono anche conseguenze sulla sfera emotiva e di crescita individuale. 

Molti di coloro che oggi si trovano a lavorare da casa, hanno vissuto parte della loro vita lavorativa in contatto con i colleghi, con i superiori, all’interno di un ambiente organizzato e strutturato, dove hanno imparato a lavorare, a confrontarsi, a crescere.

Ma i giovani che cominciano a lavorare oggi? Che devono imparare a lavorare oggi. Se va bene potrebbero essere avviati al lavoro con un rapido stage in una sede semi vuota, altrimenti comincerebbero a lavorare da casa, seguiti in remoto da un tutor più esperto, anch’esso da casa, senza possibilità di socializzazione, di crescita per osmosi ed emulazione, così importante quando si comincia a lavorare.

Questo apre rilevanti spazi di riflessione riguardo le modalità di gestione del lavoro in smart working: team management, lavorare per obiettivi, reimpostazione del patto di fiducia, nuovi orizzonti e metodi riguardo i processi formativi e di acquisizione delle competenze, come mantenere viva la motivazione, ecc.

Quindi

E’ necessario uscire dall’emergenza, ora, certamente.

Ma è necessario anche cominciare a pensare a cosa sarà delle nostre certezze da qui in avanti. 

Io ho la sensazione che cambieranno molte più cose di quante oggi immaginiamo.

E non sto parlando delle mascherine.